Caratterizzare e certificare le tinte piatte con il CxF/X-4
La scatola, l’etichetta o qualsiasi altro oggetto possono essere stampati su diversi tipi di supporto, tra cui carta, poliestere, substrati metallici, e con differenti tipologie di stampa, spesso abbinate tra loro. Anche i tipi di inchiostro che vengono utilizzati influenzano largamente la riproduzione del colore.
Un metodo comune per comunicare le tinte piatte alla stampa è l’utilizzo fisico delle mazzette Pantone, anche se queste sono soggette a variazioni cromatiche nel corso del tempo, dovute all’esposizione alla luce o allo sfregamento meccanico subìto durante il loro utilizzo. È inoltre importante capire che la maggior parte dei colori in esse riprodotti, rappresentano semplicemente un risultato visivo di quell’inchiostro su un ipotetico supporto cartaceo. In commercio esistono diverse mazzette che coprono solo alcuni tipi di carta, tra cui le patinate lucide, le patinate opache o l’usomano, mentre per altri tipi di materiale o in caso di nobilitazioni (plastificazione, vernici, ecc…) il risultato del colore può cambiare notevolmente.
Molti brand owner invece utilizzano delle cartelle colore con all’interno dei campioni stampati, per fornire una rappresentazione visiva a tutti coloro che sono coinvolti nel processo produttivo e in alcuni casi anche informazioni sulle condizioni in cui il colore di stampa deve essere confrontato con il campione fornito. Anche in questo caso però, il comportamento in produzione della tinta prodotta è spesso molto problematico da prevedere.
Come comunicare allora questi colori speciali in modo che incontrino una designazione standard che supporti tutte queste variabili? Per sopperire a queste criticità ci viene in soccorso il CxF/X-4 (Color Exchange Format), un framework tecnologico basato su XML (sviluppato inizialmente da X-Rite nel 2002) e che ha visto nel corso del tempo numerosi miglioramenti, fino a diventare uno standard internazionale nella norma ISO 17972-4:2018.